Cyclo Avigliana | Pedalata sulle Dolomiti
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Pedalata sulle Dolomiti

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Pedalata sulle Dolomiti

Il richiamo delle Dolomiti, le montagne che al tramonto diventano rosa, le cime dove è nato e cresciuto Messner, le rocce sommerse dai mari per milioni di anni. Le montagne più belle del mondo. L’amore per quei posti è quasi una follia, un’ossessione che martella, il classico ‘chiodo fisso': ogni estate si va, si passa un intero mese in Val Badia, e poi, appena si torna a casa, si inizia il conto alla rovescia aspettando il luglio successivo. Quest’anno è diverso: la montagna chiama prima, con insistenza, tiene svegli di notte. Ci sono sogni e progetti in bici che non possono aspettare. E quando la montagna chiama così forte, non si può resistere, non ci si possono mettere i tappi di cera alle orecchie come fece Ulisse per non impazzire sentendo il canto delle sirene. Qui si deve ascoltare, e rispondere.

Si parte un giovedì pomeriggio, con previsioni meteo ottime, pochi bagagli, i compiti dei bimbi da fare in macchina nelle sette ore di viaggio, e tanta, tantissima voglia di essere là. Obiettivi: Cortina-Passo Falzarego, Arabba-Passo Pordoi, due famose salite delle Dolomiti, classiche e splendide, la prima ai piedi delle Tofane, le perle di Cortina, la seconda tra il Sella e la Marmolada, i massicci più imponenti e maestosi dell’Alto Adige. Conosciamo quei posti come se fossero la nostra casa, ne ricordiamo a memoria ogni angolo, ogni pendenza, ogni pietra. Ma i colori e i sapori dell’autunno ci incuriosiscono. Abbiamo sempre pedalato in estate, nel verde smeraldo dei prati, tra i nuvoloni temporaleschi dei mesi più caldi, nel pieno della stagione turistica; la gente del posto dice che il mese di ottobre regala tonalità, luci e ombre che non si trovano in nessun altro periodo dell’anno, in una stagione assolutamente priva di turisti e curiosi: la vera natura, come piace a noi, come piace a tutti gli amanti della montagna. Niente di meglio, quindi, che pedalare nel paesaggio incontaminato della stagione più morta che ci sia.

Tra il venerdì e il sabato conquistiamo, tutti e sette insieme, le mete che ci eravamo prefissati: i bimbi con la stessa forza e lo stesso entusiasmo che li avevano accompagnati nella salita al Moncenisio, sempre determinati, con l’obiettivo nel cuore, con tanta voglia di arrivare, senza arrendersi nemmeno un secondo, ma sempre pedalando al nostro fianco.

Le ore di salita sono tante, lunghe e faticose: il peso dei carrettini con dentro i bimbi e i bagagli è notevole, perchè abbiamo con noi anche l’abbigliamento pesante per la discesa. Ci sono tre gradi all’ombra, e l’aria è fresca, limpida, pulita. Mentre si sale si pensa, si viaggia tanto con la mente, avanti e indietro, a ripercorrere le salite del passato e a immaginarne altre per il nostro prossimo futuro. E intanto, con la meraviglia di sempre, guardiamo i nostri figli che pedalano come se per loro fosse ormai una professione. E mentre li osserviamo ripensiamo alla coppia di inglesi che nel piazzale di Cortina, prima della partenza, ci ha fatto una foto e ci ha chiesto se non avessimo paura, intendendo forse la paura che succedesse qualcosa ai bambini così piccoli. Non ce lo siamo mai chiesti: paura. Tutti abbiamo paura di qualcosa, la paura è un sentimento giusto, lecito, ammesso, quando serve per frenarsi negli eccessi e tornare ad un sano equilibrio, ma è un sentimento orribile quando impedisce di inseguire i propri sogni. Se non riuscissimo mai a vincere la paura, passeremmo le giornate seduti sul divano del salotto ad aspettare la famosa tegola del destino sulla testa. Passione e paura non possono andare d’accordo: gli alpinisti non scalerebbero più le montagne, i ciclisti non scenderebbero ai settanta all’ora nelle gare, le mamme non farebbero più figli. La passione è qualcosa che va oltre la paura, la supera, la mette da parte, lascia spazio alle emozioni vere e belle,aiuta a guardare sempre avanti, sempre in alto. La passione per uno sport nasce a volte per caso o per motivi banali, spesso per il desiderio di mantenersi in forma, robusti, sani. E poi diventa qualcosa di più grande: il corpo non è più al primo posto, è solo il mezzo che ti porterà in alto. Ciò che conta è la tua anima, che sfida, fatica, e vince. Pedalare in salita, veder pedalare i nostri bimbi, per tante ore, è stato un grande regalo per l’anima.

Ma forse il regalo più grande è stato portare lassù i sorrisi di Marco, portarlo con noi così in alto, fargli respirare il profumo di quell’aria perfetta che sa di funghi e castagne, di foglie secche e cortecce degli alberi, dimostrare ancora una volta che la battaglia contro la malattia l’abbiamo vinta noi sollevandolo dal letto, sistemandolo in un chariot biposto e trainandolo su per le salite più belle della Terra, pedalando per noi e per lui.

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